Era la luna nel cortile; un lato
tutto ne illuminava, e discendea
sopra il contiguo lato obliquo un raggio...
Dalla maestra via s'udiva il carro
del passegger, che, stritolando i sassi,
mandava un suon, cui precedea da lungi
il tintinnir de' mobili sonagli...
(Giacomo Leopardi - Zibaldone di pensieri)
In questo idillio, incipit dello Zibaldone di Leopardi, che possiamo definire un ecosistema, composto da varie figure e parti, sia naturali che non, le quali vanno a comporre questo "quadretto", certamente riveste un ruolo primario la luna. In realtà durante tutto l'arco della sua vita il poeta ha cantato e coltivato nei suoi scritti l'immagine lunare, attribuendole funzioni e significati legati al proprio mondo interiore.
Il rapporto con l'astro è dinamico, e subisce numerosi cambiamenti: inizialmente, in La sera del dì di festa, subentra il tema della morte, suggeritogli dal dolore fisico. In un secondo momento questo rapporto si alleggerisce, diventando un sentimento di angoscia nell'anima del poeta: la luna infatti è immobile, silenziosa, austera, quasi a voler ricordare che tutte le cose umane terminano nell'oscurità e nel silenzio.
In Alla luna Leopardi sceglie il lessico e il tono della poesia d’amore: instaura un monologo con essa, come se fosse la propria amata, definendola "mia diletta luna".
Tuttavia, il punto più alto della poesia riguardante la luna si ha probabilmente nell'apostrofe a questa nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia:
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
canto alla luna |
Qui l'astro diventa un freddo interlocutore, insensibile ai problemi dell'uomo, individuati nelle più tipiche domande esistenzialistiche che l'umanità si è sempre posta, cui però nessuno è mai riuscito a dare risposta. La vita della luna è poi paragonata a quella del pastore: ripetitiva, monotona, ciclica; a questo punto il poeta stesso, nelle vesti del pastore, cerca di dare risposta a queste domande, esponendo la drammatica allegoria della vita umana. Questa viene infatti paragonata al destino di un vecchio infermo che, dopo aver attraversato mille difficoltà, sanguinante ed esausto, corre verso l’abisso, simbolo della morte, nel quale precipita e si annulla.
Nelle strofe successive, la luna viene maggiormente umanizzata, poiché non solo condivide lo stesso destino di solitudine del pastore errante, e dunque del poeta stesso, ma è anche costretta a girare in eterno, osservando il crudele destino degli uomini ("ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?").
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